Referendum abrogativo 2025: i cinque quesiti su diritto del lavoro e cittadinanza
Il funzionamento di un referendum abrogativo
Il referendum abrogativo, disciplinato dall’art. 75 della Costituzione, consente di abrogare totalmente o parzialmente una legge o un atto avente forza di legge, purché ne facciano richiesta almeno 500.000 elettori o cinque Consigli regionali.
Il referendum abrogativo non è ammesso per le leggi tributarie e di bilancio, amnistia e indulto, né per l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Formulati i quesiti, la Corte di cassazione e la Corte costituzionale ne verificano in via preventiva l’ammissibilità: se dichiarati ammissibili, il Presidente della Repubblica indice con decreto la consultazione referendaria.
Il referendum produce effetto soltanto se partecipa alla votazione almeno il 50 % più uno degli aventi diritto al voto e se, tra i votanti, la maggioranza si esprime per l’abrogazione.
Ogni quesito è autonomo: è possibile votarne uno, alcuni o nessuno; i quorum di partecipazione sono calcolati separatamente per ciascun quesito.
Nei giorni 8 e 9 giugno 2025, i cittadini italiani saranno chiamati ad esprimersi su cinque quesiti abrogativi, quattro dei quali riguardano norme di diritto del lavoro.
1. Primo quesito: abrogazione del d.lgs. 23/2015 (Jobs act)
1.1. Oggetto del quesito
Il primo quesito propone l’abrogazione integrale del D. lgs. 23/2015 (“Jobs Act”), ripristinando l’applicazione generalizzata dell’articolo 18 della L. 300/1970 (“Statuto dei lavoratori”), così come modificato dalla L. 92/2012 (“Legge Fornero”).
L’oggetto del quesito, tuttavia, non può essere semplificato e riassunto in “Indennità (Jobs act) contro Reintegra (art. 18)”, poiché la disciplina di entrambe le normative negli anni ha subito profondi cambiamenti che rendono necessario un confronto più puntuale tra le normative oggi vigenti.
1.2. Le nozioni di GMS, GC e GMO
Prima di entrare nel dettaglio delle normative e delle tutele da esse previste, è necessario inquadrare, seppur sommariamente, le diverse tipologie di licenziamento:
Giustificato Motivo Soggettivo (GMS): quando il licenziamento è determinato da un inadempimento grave del lavoratore ai propri doveri.
Giusta Causa (GC): quando il licenziamento è determinato da un inadempimento del lavoratore talmente grave da non permettere la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro.
Giustificato Motivo Oggettivo (GMO): è il cosiddetto “licenziamento economico”, quando il licenziamento è determinato da una crisi dell’impresa o da una riorganizzazione aziendale.
1.3. L’art. 18 riformato dalla cd. Legge Fornero (L. 92/2012)
La legge Fornero del 2012 ha profondamente modificato l’articolo 18, mutando l’assetto delle tutele e prevedendo quattro diverse ipotesi:
Reintegra piena: reintegra (o indennità sostitutiva della reintegra) e indennità di un minimo di 5 mensilità;
Reintegra attenuata: reintegra (o indennità sostitutiva della reintegra) e indennità di massimo 12 mensilità;
Indennità forte: indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità;
Indennità debole: indennità compresa tra le 6 e le 12 mensilità.
Le tutele previste dall’art. 18 St. lav. si applicano solo alle imprese che superino una determinata soglia dimensionale (ad eccezione del caso di un licenziamento nullo, nel qual caso la tutela reintegratoria piena dell'art. 18 troverà applicazione indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa), applicandosi invece alle cd. “piccole imprese” la tutela fornita dall’art. 8 L. 604/1966 (oggetto del secondo quesito referendario).
1.4. Il Jobs act (d.lgs. 23/2015): disciplina originaria e modifiche successive
Il d.lgs. 23/2015 (Jobs Act) ha introdotto, nella sua versione originaria, un regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi che privilegiava la tutela indennitaria rispetto a quella reintegratoria. In particolare:
Il Jobs Act si applica a:
Operai, impiegati e quadri assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in poi;
Lavoratori a tempo determinato il cui contratto sia stato convertito a tempo indeterminato a seguito di assunzione dopo il 7 marzo 2015;
Tutti i lavoratori di un datore di lavoro che, a seguito di assunzioni a tempo indeterminato successive al 7 marzo 2015, arrivi a superare le soglie dimensionali della piccola impresa.
Disciplina originaria (2015):
Eliminazione quasi totale della reintegra (fatta eccezione per il licenziamento nullo o discriminatorio);
Indennità calcolata automaticamente in base all’anzianità, con uno criterio di calcolo fisso (2 mensilità per ogni anno di servizio, con un minino di 4 e un massimo di 24 mensilità).
Evoluzione normativa e giurisprudenziale: nel corso degli anni successivi il Jobs act è stato profondamente mutato da modifiche legislative e pronunce della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, che hanno:
eliminato il calcolo automatico dell’indennità;
innalzato le soglie indennitarie, portando i limiti a 6-36 mensilità;
riespanso le ipotesi di tutela reintegratoria.
Pertanto, ad oggi la disciplina del Jobs act non è più quella originaria del 2015, ma un sistema ibrido in cui convivono indennità maggiorate e ipotesi di reintegra ripristinate rispetto alla versione originaria.
1.5. Confronto attuale tra art. 18 “Fornero” e d.lgs. 23/2015
Quindi non ci sono differenze? Le discipline dell’art. 18 e del Jobs act si sono riavvicinate, ma non sono esattamente sovrapponili:
Un’ulteriore differenza è riscontrabile nelle soglie di indennità (forte), poiché l’art. 18 St. lav. prevede un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità; il Jobs act invece prevede un minimo di 6 e un massimo di 36 mensilità.
1.6. Effetti dell’abrogazione
L’approvazione del primo quesito referendario comporterebbe l’abrogazione totale del d. lgs. 23/2015 e una conseguente applicazione generalizzata dell’art. 18 St. lav. (come riformato dalla L. 92/2012) alle grandi imprese, restando invece applicabile alle piccole imprese la tutela prevista dall’art. 8 L. 604/1966.
2. Secondo quesito: piccole imprese e abrogazione del tetto massimo di indennità
2.1. Disciplina attuale (art. 8 l. 604/1966)
Per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 in imprese di dimensioni inferiori ai limiti dimensionali stabiliti dall’art. 18 St. lav., l’articolo 18 stesso non è applicabile (ad eccezione dei licenziamenti nulli). La tutela giuridica è disciplinata dall’art. 8 della L. 604/1966, per cui, a fronte di un licenziamento dichiarato illegittimo, il datore di lavoro potrà scegliere tra:
Riassunzione: nuova assunzione, diversa dalla reintegra (non riporta il lavoratore nella posizione precedente, ma instaura un nuovo rapporto);
Indennità: compresa tra un minimo di 2,5 mensilità e un massimo di 6 mensilità; se l’impresa ha tra 15 e 60 dipendenti, le soglie possono essere differenti:
Lavoratore con anzianità di servizio > 10 anni: indennità compresa tra 2,5 e 10 mensilità;
Lavoratore con anzianità di servizio > 20 anni: indennità compresa tra 2,5 e 14 mensilità.
2.2. Contenuto del quesito
Il quesito proposto abroga i limiti massimi indicati, e cioè elimina il tetto massimo di 6 mensilità (o 10/14 nei casi specifici), lasciando immutato il limite minimo di 2,5 mensilità.
2.3. Possibili conseguenze
L’abrogazione proposta dal secondo quesito, se da un lato mira ad assicurare ai lavoratori delle piccole imprese una tutela maggiore, specie laddove si tratti di piccole imprese ad alto contenuto tecnologico (con poco personale e alto fatturato), dall’altro lato potrebbe comportare tre possibili conseguenze:
Raggiungimento di soglie elevate: senza tetto massimo, l’ammontare dell’indennità, fermi gli ulteriori criteri di gradazione della somma, verrebbe stabilita dal giudice e potrebbe raggiungere cifre molto elevate.
Difficoltà per le imprese più deboli: il rischio di dover pagare indennità ingenti potrebbe gravare notevolmente sul bilancio delle imprese con capacità economiche ridotte.
Contraddizione nel sistema: qualora fosse approvato anche il primo quesito, si avrebbe una situazione per cui l’indennità prevista a fronte di un licenziamento illegittimo in una piccola impresa (con indennità “senza tetto massimo”) potrebbe essere molto maggiore dell’indennità prevista per lo stesso licenziamento in una grande impresa (dove rimarrebbe invariato il tetto massimo di 24 mensilità).
3. Terzo quesito: limiti e causali per i contratti a termine
3.1. Disciplina attuale (post-Decreto Dignità)
L’attuale disciplina dei contratti a termine, stabilita nel d. lgs. 81/2015, prevede che:
Contratti fino a 12 mesi: sono consentiti senza alcuna causale; possono essere prorogati o rinnovati, ma non possono superare complessivamente i 12 mesi laddove non vi sia una delle causali consentite.
In ogni caso, qualora si stipuli un contratto a termine senza causale superiore a 12 mesi, al 13° mese il rapporto si trasforma automaticamente in contratto a tempo indeterminato.
Contratti tra 12 e 24 mesi: un contratto a termine che duri più di 12 mesi (e comunque entro i 24 mesi) richiede necessariamente la presenza di una delle causali espressamente individuate, ossia:
Casi previsti in contratti collettivi di cui all’art. 51 d. lgs. 81/2015;
Casi previsti in contratti collettivi applicati in azienda e per esigenze tecniche, organizzative e produttive;
Sostituzione di altri lavoratori.
Contratti oltre 24 mesi: sono vietati. Se si stipula un contratto a termine (o più contratti, anche non continuativi) che eccede i 24 mesi, il contratto si trasforma automaticamente a tempo indeterminato a seguito dei 24 mesi.
3.3. Contenuto del quesito
Il terzo quesito mira ad eliminare la finestra temporale di 12 mesi entro la quale è ad oggi possibile stipulare un contratto a termine anche in assenza di causali giustificative; la normativa del contratto a termine riformata, laddove il referendum avesse esito positivo, sarebbe la seguente:
Il termine massimo di 24 mesi per un contratto a termine rimane immutato;
Obbligo di causale per tutti i contratti a termine, anche se di durata inferiore a 12 mesi, e trasformazione immediata in contratto a tempo indeterminato se il contratto a termine viene stipulato in assenza di causali;
Le causali vengono ridotte a due, ossia:
Casi previsti in contratti collettivi di cui all’art. 51 d. lgs. 81/2015;
Sostituzione di altri lavoratori.
Obbligo di specificare per iscritto le causali al momento della stipula di un qualsiasi contratto a termine, e possibilità di rinnovo e proroga solo in presenza delle causali. La violazione di tali adempimenti comporta la trasformazione immediata del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
4. Quarto quesito: appalto, salute e sicurezza e responsabilità solidale
4.1. Funzionamento di un appalto
Nel caso di un appalto genuino, un’impresa committente affida a un’impresa appaltatrice (o subappaltatrice) l’esecuzione di un’opera o servizio estraneo alla propria attività. L’appaltatore deve:
Organizzare i propri mezzi di produzione;
Esercitare il potere direttivo sui propri dipendenti;
Assumersi il rischio d’impresa per l’attività appaltata.
4.2. Obblighi in materia di salute e sicurezza (D. lgs. 81/2008)
Il D. lgs. 81/2008 stabilisce che il datore di lavoro è deve garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.
In un contratto di appalto, può accadere che i lavoratori dell’appaltatore lavorino negli ambienti del committente; in questa circostanza, possono identificarsi tre ipotesi di rischio per i lavoratori:
- Rischi specifici del committente
- Rischi specifici dell’appaltatore
- Rischi interferenziali
La disciplina attuale prevede diversi obblighi in capo al committente, e in particolare l’obbligo di:
Verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore e, se presente, del subappaltatore, attraverso la verifica di specifici requisiti;
Fornire all’appaltatore tutte le informazioni relative ai propri rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro in cui l’appaltatore deve operare;
Cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi derivanti da interferenze tra le attività delle diverse imprese coinvolte;
Coordinare gli interventi di prevenzione e protezione e redigere il Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze (DUVRI), in cui sono indicate le misure per eliminare o ridurre al minimo i rischi che sorgono dalla concomitanza delle lavorazioni.
4.3. Responsabilità solidale attuale
Oggi, in caso di infortunio o malattia professionale di un lavoratore dell’appaltatore:
Il committente è responsabile solidale per i danni non coperti da INAIL solo se essi derivano da rischi “interferenziali” (ossia quei rischi che nascono dall’incontro fra attività del committente e attività dell’appaltatore) o da rischi specifici del committente.
Non è invece responsabile per i danni derivanti dai rischi specifici dell’appaltatore, che restano imputabili esclusivamente all’appaltatore medesimo.
4.4. Contenuto del quesito
Il referendum propone di eliminare la parziale esclusione di responsabilità del committente per i danni derivanti da rischi specifici dell’appaltatore, estendendo la responsabilità solidale del committente anche ai danni che derivano da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore (ad esempio, un infortunio causato da macchinari o procedure tipiche del settore merceologico dell’appaltatore).
4.5. Possibili conseguenze
La modifica proposta comporterebbe, da un lato, una maggiore tutela per il lavoratore dell’appaltatore, il quale, a fronte di un infortunio causato da un rischio specifico dell’appaltatore, si troverebbe a poter vantare il proprio credito risarcitorio nei confronti di due soggetti solidalmente (appaltatore e committente) anziché del solo appaltatore.
Al contempo, occorre sottolineare che il committente non ha normalmente le competenze tecniche per valutare i rischi specifici di un’altra impresa, soprattutto se operante in un settore diverso. La modifica normativa, quindi, lo renderebbe responsabile per fatti che potrebbe non conoscere né gestire direttamente, con la possibile, ipotetica conseguenza di un aumento dei costi assicurativi richiesti all’appaltatore e una riduzione dell’utilizzo dell’appalto come forma contrattuale, con una spinta ad internalizzare attività o limitare il ricorso a fornitori strettamente controllati.
5. Quinto quesito: dimezzamento del tempo di residenza per la cittadinanza italiana
5.1. Contesto normativo attuale (art. 9 L. 91/1992)
La L. 91/1992 stabilisce sei diverse casistiche (lett. a-f) per la concessione della cittadinanza italiana. Ai fini dell’analisi del quesito referendario, rilevano le ipotesi di concessione della cittadinanza:
- Lettera b): allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione;
- Lettera f): allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.
5.2. Contenuto del quesito
Con l’abrogazione parziale della lett. b) e totale della lett. f), la norma muterebbe nel senso di prevedere, per un soggetto straniero, il requisito temporale di residenza sul suolo italiano per 5 anni. Di fatto:
Si assottiglia la disciplina relativa alla durata di residenza, dimezzando il requisito da 10 a 5 anni.
Restano comunque invariate le condizioni generali (conoscenza della lingua italiana, inserimento socio-economico, assenza di condanne penali rilevanti).
Di seguito sono riportare le slide dell’intervento dell’Avv. Emanuele Agosti e del dott. Francesco Agosti nel ciclo di eventi “Capire per scegliere. Referendum abrogativo 8 e 9 giugno 2025”.



































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